Tra i molteplici aspetti che compongono il magico mondo della pole dance, ce n’è uno che a mio avviso è spesso poco approfondito: le storie.
E non parliamo qui della storia personale fatta di sudore, fiato, lividi e passione; non parliamo di tutto ciò che caratterizza la performer.
Alla fine del recente campionato World Pole Sport & Fitness Championship di Zurigo abbiamo avuto modo di intervistare svariate personalità del mondo pole, dalle star internazionali, agli organizzatori, ai performer che via via si sono succeduti sul palco. La parola chiave delle loro risposte – risposte rapide, sudate, provate, confuse nella baldoria del dopo spettacolo – è stata una: arte.
Tralasciando i secoli di ricerca estetica che, a fatica, ha provato a definire in maniera soddisfacente questa strana parola, va detto che nel suo lato artistico la pole è anche narrazione: racconta delle storie.
Possono essere lampanti, come nel caso di Judit Gábris-Baczakó ed Eszter Varga (Ungheria), che hanno messo in scena la lotta tra Beatrix Kiddo e Elle Driver, le protagoniste di Kill Bill (2003); o ricostruzioni storiche, come la bella Cleopatra morsa dall’aspide che Elena Gibson ci ha presentato a marzo 2012 all’Aerial Pole International di Berna.
Oppure storie più intime, di rapporto con la natura, di risvegli di forze arcaiche; o ancora di travolgente passione o puro candore. E – perché no? – anche racconti a tinte più forti, al limite con l’orrore (sempre al WPSF l’ucraino Oleksandr Shchukin ha fatto arrampicare sul palo il vampiro di Twilight!)
Ed ora una domanda al contrario: qualcuno sa riconoscere la maschera che nasconde il russo Kristian Lebedev?